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I nostri comportamenti sbagliati favoriscono gli attacchi dei predatori

La prima ricerca globale del Museo delle Scienze di Trento ha raccolto e analizzato oltre 5000 casi tra il 1950 e il 2019 in tutto il mondo.

di Alessio Pagani

Imprudenza, sottovalutazione del rischio e “invasione” dei loro spazi. Sono questi alcuni dei comportamenti che possono favorire il conflitto tra uomo e predatore. Almeno nelle zone più sviluppate. È quanto emerge da uno studio al quale ha partecipato anche il MUSE, il Museo delle Scienze di Trento. Pubblicata su PLOS Biology, è la prima ricerca globale su questo tema. Sono stati raccolti e analizzati, infatti, oltre 5.000 casi di attacchi dei grandi carnivori nei confronti dell’uomo registrati in 70 anni, tra il 1950 e il 2019.

In particolare gli scienziati si sono concentrati sulle specie di grandi carnivori terrestri maggiormente coinvolte in questo tipo di conflitti, tra cui anche tigri, leoni, orsi e lupi. È così emerso che gli attacchi avvenuti nelle aree “ad alto reddito”, come Europa e Nord America, si sono verificati mentre le persone coinvolte stavano svolgendo attività ricreative, come escursionismo, campeggio o passeggiate con cani. Quasi il 90% degli attacchi registrati nelle aree geografiche “a basso reddito”, invece, ha avuto origine durante attività di sostentamento come l’agricoltura, la pesca o il pascolo del bestiame.

«Felidi e canidi», sottolinea la ricercatrice del MUSE, Giulia Bombieri, «sono risultati i gruppi di specie maggiormente coinvolti in attacchi predatori, i più letali per le persone, mentre gli attacchi da parte di orsi sono quasi sempre difensivi, per esempio nei casi in cui questi vengono inavvertitamente sorpresi a distanza ravvicinata, oppure in difesa dei cuccioli o di fonti di cibo. La maggior parte degli attacchi mortali è stata registrata nei Paesi a basso reddito, nei quali si è verificata gran parte degli attacchi predatori da parte di grossi felidi come leoni e tigri».

Secondo autrici e autori, gli approcci per ridurre questo tipo di conflitti dovrebbero quindi essere adattati non solo alle specie, ma anche al contesto socioeconomico e ambientale in cui si opera. Nei Paesi ad alto reddito, evidenziano i ricercatori, «gli attacchi sono soprattutto una conseguenza di comportamenti inappropriati da parte delle persone e per questo possono risultare efficaci per ridurre i rischi delle campagne di educazione rivolte a visitatori e residenti sui comportamenti da adottare per incrementare la propria sicurezza».  

(Foto d’apertura: @tha_sasan_gir_)

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