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Le razze di cane pericolose? In Italia non esistono 

Le normative italiane non individuano la potenziale aggressività dei quattrozampe in base alla loro tipologia. A essere importanti sono la storia e i precedenti specifici dell’animale.

di Alessio Pagani

Ci sono cani pericolosi. Ma questo non è direttamente legato alla loro razza. In Italia, infatti, al contrario di quello che succede in altri Paesi, non ci sono attualmente liste di razze considerate osservate speciali per legge.  

Questo succede perché nel 2009 è stata abolita la cosiddetta “lista nera delle razze canine pericolose”. Era stata emanata nel 2007 dal Ministero della salute, e di fatto elencava diciassette razze di cani considerati pericolosi per la loro aggressività. Erano così finiti nel mirino l’american bulldog, cane da pastore di Charplanina, il cane da pastore dell’Anatolia, il cane da pastore dell’Asia Centrale; il cane da pastore del Caucaso, il cane da serra da estreilla, il dogo argentino. E poi il fila brazileiro, il perro da canapo majoero, il perro da presa canario, perro da presa mallorquin, e i più conosciuti pit bull, pit bull mastiff, pit bull terrier, rafeiro do alentejo, rottweiler e tosa inu. Un elenco che ha avuto vita breve visto che dopo soli 2 anni era stato abrogato. Anche sulla spinta di proteste e studi.  

Nella letteratura scientifica in Medicina Veterinaria, «non è possibile stabilire il rischio di una maggiore aggressività di un cane sulla base dell’appartenenza a una razza o ai suoi incroci», sottolinea l’Associazione nazionale medici veterinari italiani (ANMVI). Questo implica, scrissero all’epoca gli esperti, che gli episodi di aggressione «sono spesso riconducibili a una gestione inadeguata dell’animale, oppure a stimoli particolari che portano il cane a reagire in base alla situazione». «L’emergenza non è la pericolosità dei cani», concludeva l’ANMVI, «ma la persistente mancanza di una corretta educazione al rapporto uomo-animale». 

Per la normativa vigente, dunque, non ci sono razze pericolose a prescindere, ma soltanto cani di comprovata pericolosità. Definizione che è legata al comportamento, alla storia e alle azioni del singolo esemplare. Così stabilisce l’Ordinanza del Ministero della Salute 6 agosto 2013 – che prende il nome di “Ordinanza contingibile e urgente concernente la tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione dei cani” – e da allora rinnovata annualmente sulla falsa riga della precedente ordinanza del 2009 che ha cancellato la lista nera.  

Così, dopo gli episodi di «morsicatura, aggressione e indizi di rischio» scatta l’obbligo di percorsi rieducativi e obblighi a carico del proprietario. Ma non solo. I servizi veterinari delle aziende sanitarie locali, «in caso di rilevazione di rischio elevato, stabiliscono le misure di prevenzione e la necessità di una valutazione comportamentale e di un eventuale intervento terapeutico da parte di medici veterinari esperti in comportamento animale». Esiste poi un registro dei quattro zampe a elevato tasso di aggressività e i loro proprietari devono stipulare una polizza assicurativa senza poi dimenticare di utilizzare guinzaglio e museruola nei luoghi pubblici.  

Le liste nere dei cani pericolosi, tuttavia, esistono in diversi Stati. Ma, statistiche alla mano, non hanno mai prodotto effetti significativi sulla riduzione delle aggressioni. E così, alcuni Paesi come ad esempio il Regno Unito, si sono spinti oltre: vietando addirittura la detenzione di alcune tipologie di cani, fatti salvi ovviamente gli esemplari già esistenti.  

(Foto d’apertura: IPA)

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