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La Colombia prova a liberarsi degli ippopotami di Pablo Escobar

Il narcotrafficante li fece arrivare nella sua tenuta per realizzare uno zoo privato. Ma da simbolo di potere sono diventati un pericolo senza soluzione.

di Alessio Pagani

Non si sa di preciso da dove arrivassero, probabilmente dall’Africa ma c’è anche chi dice dagli Stati Uniti. Di certo c’è che erano quattro e che alla fine degli anni Settanta arrivarono in Colombia. Piacevano molto a Pablo Escobar, capo del cartello di Medellìn, che voleva gli ippopotami nel suo zoo privato. Simbolo di potere e insieme piacere proibito per il narcotrafficante. Insieme a loro c’erano, infatti, anche elefanti, giraffe e antilopi.  

Quello che successe dopo è un insieme di errori e sottovalutazioni. Con una catena di eventi che inizia nel 1991 quando Escobar si consegnò alle autorità. La sua magione finì sotto sequestro e tutti gli animali ospitati nell’Hacienda Nàpoles furono ingenuamente liberati. Risultato? Molti morirono quasi subito perché non adatti al clima e al territorio sudamericano. I quattro ippopotami – 3 femmine e un maschio – , invece, si adattarono senza alcun problema.

Al punto che oggi da quel nucleo originario sono diventati ben 130. In quel territorio, non avendo alcun predatore naturale, hanno di fatto occupato un tratto del fiume Magdalena nella Colombia centrale. Con conseguenze inattese visto che ora stanno divorando la vegetazione, togliendo spazio agli animali locali, e sono diventati un pericolo per la popolazione. Per anni il governo colombiano ha cercato, invano, una soluzione. Alcuni sono stati abbattuti tra le polemiche, altri sterilizzati ma la mandria continua a crescere. Negli ultimi mesi, però, è stato messo a punto un piano di sgombero e trasferimento. Definitivo a quanto dicono le autorità del dipartimento colombiano di Antioquia, di cui fanno parte sia Medellìn sia la tenuta di Escobar.   

Il progetto sulla carta è chiaro: si prevede di catturare gli ippopotami e spedirli, con aerei cargo, in riserve che siano disponibili ad accoglierli. Alcuni andranno in un centro di recupero per la fauna selvatica in India, altri in Messico. Poi sarà la volta di Ecuador, Filippine e Botswana, dove ci sono centri pronti ad accoglierne altri. L’incognita è rappresentata, come sempre, dai costi. Tra logistica, gabbie e voli cargo. Ma l’operazione è stata annunciata e probabilmente sarà seguita anche dalle telecamere per la realizzazione di un documentario. Solo il tempo, però, potrà dire se avrà successo.   

(Foto d’apertura: IPA)

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