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Il vermocane arriva nei mari di Puglia, Calabria e Sicilia: quanto è pericoloso e perché

E’ allarme in vista dell’estate: in diverse zone costiere italiane è segnalata una significativa presenza di questo anellide. Questo verme marino mangia di tutto, distruggendo gli habitat, e mette a rischio l’attività dei pescatori. Può colpire anche l’uomo con un veleno che rilascia dalle setole che ricoprono il suo corpo. Gli esperti lanciano una campagna di informazione e spiegano cosa fare in caso di puntura. Che brucia, sì, ma non è pericolosa.

di Redazione
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Da vedere è un verme marino di particolare bellezza: i suoi colori vivaci, che vanno dal blu al rosso all’arancione, e anche le lunghe setole bianche che ricoprono tutto il suo corpo, ne fanno una creatura acquatica affascinante. Tanto che nell’ormai frequentatissimo mondo social si trovano moltissime immagini che ritraggono questo animale e numerosi video: i fotografi, ma anche gli aspiranti tali che lo incontrano sott’acqua, non faticano a riprenderlo, perché è un verme “pacifico” che si muove lentamente, non teme la presenza dell’uomo e se ne resta placido a farsi immortalare.

E allora perché in questi giorni si parla tanto dell’Hermodice carunculata, popolarmente chiamata anche verme cane, verme di fuoco o verme di mare? Perché le segnalazioni dei ricercatori dicono che si stia espandendo molto rapidamente nei nostri mari. E perché è velenoso e può colpire l’uomo. Niente paura, però: conosciamo meglio questo verme “invasore” e chiariamo subito che per noi umani, che stiamo per andare in vacanza nelle nostre meravigliose regioni costiere, non è letale.

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Foto: IPA

Il vermocane è costantemente monitorato dai biologi italiani, poiché nel nostro Paese la sua non è certo una presenza nuova. Sono centinaia di anni che sappiamo che vive e si riproduce nel Mediterraneo, ma ora è la sua proliferazione a preoccupare: nel tempo, complice e colpevole il riscaldamento delle acque, dal Mar Ionio ha raggiunto il Mar Tirreno e poi il Mare Adriatico. Quest’estate pare che i fondali, ma anche gli scogli e perfino le spiagge di Puglia, Calabria e Sicilia potrebbero risentire pesantemente della sua presenza.

“E’ una specie endemica del Mediterraneo e in passato la loro popolazione era sotto controllo, ma con le ondate anomale di caldo degli ultimi due-tre anni si è moltiplicata a dismisura e mangia di tutto. Capita di trovarli anche fino a riva”. Sono le parole dei ricercatori dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs), che sul vermocane stanno conducendo uno studio molto accurato. Questo anellide marino è particolarmente vorace: la sua alimentazione è varia, si nutre di coralli ma anche di stelle marine, meduse e ricci di mare. Le sue prede sono anche organismi moribondi (per questo è annoverato fra gli “spazzini del mare”) e attacca le reti dei pescatori per nutrirsi dei pesci intrappolati.
E’ una specie invasiva e pericolosa per la sopravvivenza degli habitat nei quali si insedia. Lungo in media 30 centimetri, può arrivare anche al metro, come hanno testimoniato appunto alcuni pescatori “colpiti” dal vermocane. Non solo si sono ritrovati le reti mezze vuote, ma sono anche stati punti dal verme, che è velenoso.

E’ questo l’allarme che interessa in bagnanti dell’estate alle porte: quali rischi si corrono se si viene in contatto con uno di questi anellidi?
Il vermocame, attraverso le sue setole, rilascia una tossina che ha un potere paralizzante per le piccole prede. Per l’uomo, il suo veleno sortisce invece l’effetto di quello di una medusa: provoca dolore, sì, ma non è pericoloso. In alcuni casi può causare edemi e provocare febbre, ma niente di più.

I ricercatori dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs) stanno promuovedno una campagna educativa rivolta agli abitanti delle regioni più colpite dalla proliferazione di questo verme, e naturalmente ai turisti. La campagna è sviluppata in collaborazione con le Università di Modena e Reggio Emilia, di Catania e di Messina, Ispra e l’Area Marina Protetta di Capo Milazzo (Messina).
Questa è la spiegazione fornita dal fisiologo Roberto Simonini dell’Università di Modena e Reggio Emilia, che ha isolato le sostanze tossiche prodotte dai vermocane. “Se la puntura avviene in punti in cui la pelle è spessa, si sente un bruciore localizzato, simile a quello provocato dall’ortica; ma se vengono punte zone in cui la pelle è più sottile, come l’incavo del gomito o quello del ginocchio, il dolore è decisamente forte e duraturo. Nel caso di una puntura ai polsi, ad esempio, si può avvertire un intorpidimento alle estremità delle dita e può essere necessaria una pomata al cortisone”.

Foto: IPA

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