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Il mondo sommerso del traffico di animali

L’Europa ne è diventata lo snodo principale e il commercio coinvolge dai cuccioli alle specie protette.

di Lorenzo Sangermano

23 miliardi, è questo il valore economico del traffico illegale di animali stimato da un recente report de “Il Sole 24 Ore”. Calcolata grazie a dati del 2017, la cifra è però in “buona compagnia”. Infatti questa comprende il solo reddito derivante dalla fauna, a cui si aggiungono la pesca illegale, altri 36 miliardi, e il commercio di specie protette.

Negli ultimi anni questo giro di affari ha spostato il suo baricentro e, secondo le ricerche dell’Interpol, l’Europa è diventato uno degli scali principali. Ne è ben cosciente anche il Parlamento Europeo e ne è testimone il suo piano per la biodiversità 2030. Buona parte degli obiettivi, come l’aumento della prevenzione e il rafforzamento delle leggi in materia, hanno nel loro mirino proprio il commercio illegale di animali.

Secondo Rudi Bressa, autore del libro “Trafficanti di natura”, la questione non è semplice. «Nel momento in cui comprendiamo che alcune popolazioni hanno bisogno di palissandro e orchidea per mantenersi, scorgiamo una sorta di etica. Sicuramente proviamo compassione. Nel caso di cartelli organizzati, si tratta di guadagni spregevoli e senza scrupoli. Poi c’è il tema dei presunti rimedi delle medicine tradizionali locali che favorisce la domanda». 

Il traffico di animali non è solo parte di una rete criminale, è anche intessuto di profonde tradizioni e riti culturali che ne aumentano l’espansione. Nelle pagine della sua inchiesta, Bressa spiega che, senza una contestualizzata adeguata, capire le ragioni e anche il futuro di questo fenomeno risulterebbe impossibile.

Che siano animali da pelliccia o specie protette, il traffico illegale di animali raccoglie in sé più esemplari possibile. Ne è un esempio il pangolino, un piccolo mammifero ricoperto di scaglie che si trova al primo posto degli esemplari più cacciati. Di questo commercio hanno fatto parte perfino degli Stati: è il caso dello Zimbabwe, che nel 2022 ha organizzato l’Elephant Summit con lo scopo di raccogliere sostenitori per la vendita di 130 tonnellate d’avorio, materiale ottenuto dalle zanne degli elefanti e commerciato illegalmente.

Oltre ai rischi delle bande criminali, le conseguenze si spingono anche sul piano sanitario. La continua vicinanza con specie protette o lontane dall’essere umano, secondo Bressa, aumenta il rischio di infezioni. Non da parte di virus qualsiasi, ma dagli 827mila ancora sconosciuti e presenti solo negli animali. A questi si aggiungono quelli già conosciuti, come la rabbia, la leptospirosi, l’antrace, la SARS, la MERS, la febbre gialla, l’HIV e il virus Ebola.

Tra proibizionismo e regolamentazione di questa tratta, soluzioni efficaci al cento per cento non sembrano per ora a portata di mano. Insieme ai governi e alle istituzioni internazionali, le Ong svolgono un ruolo di sensibilizzazione sul tema, percorrendo la via che al momento conduce ai migliori risultati: il cambiamento culturale. Ne è un esempio, l’anno successivo alla comparsa del Covid, nel 2021, la decisione della Cina di vietare il commercio e il consumo di animali selvatici, tentando così di scardinare tradizioni e usanze ormai secolari.

(Foto: WWF)

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