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Aviaria sul Garda: centinaia di gabbiani morti. Niente allarmismi, ma massima cautela

Per Ats il rischio per la popolazione, al momento, «è da ritenersi basso», ma bisogna prestare «attenzione al contatto diretto con animali infetti». Ma l’Organizzazione mondiale per la sanità lancia un’allerta: «Questo virus potrebbe causare una nuova pandemia».

di Alessio Pagani

Centinaia di gabbiani caduti al suolo senza vita sulle sponde del lago di Garda, tra Lombardia e Trentino. Sarebbero vittime di un’epidemia di influenza aviaria che ha colpito la zona. E non sarebbero i soli. Sono risultati positivi anche fenicotteri, aironi e cigni. Tutti colpiti da un virus ad alta patogenicità. «Questo virus di solito non infetta l’uomo anche se sono possibili sporadici casi di infezione umana in seguito di contatti diretti con animali infetti o le loro escrezioni», fa sapere l’azienda sanitaria provinciale. «Per questo è importante adottare precauzioni nel caso del ritrovamento di uccelli morti». 

L’imperativo categorico per le autorità che intervengono lungo le spiagge è raccogliere il prima possibile le carcasse dei gabbiani per impedire che diventino cibo per corvi e topi e si possa propagare il contagio. In un contesto così delicato, l’istituto Zooprofilattico sperimentale delle Venezie possiede una mappa digitale che permette di verificare i vari focolai in giro per l’Europa. E nella mappatura aggiornata spiccano anche i casi segnalati di influenza aviaria sul lago di Garda, ormai focolaio dell’H5N1.  

E anche se il rischio di trasmissione dell’influenza aviaria ad altri mammiferi e all’uomo è molto bassa (lo confermano anche le precisazioni del ministero della Salute), l’Ats, l’azienda territoriale per la salute della provincia di Brescia, ha pubblicato un vademecum per chi dovesse essere a contatto con gli animali. In caso di rinvenimento di uccelli morti, il personale preposto adotti alcune misure di protezione, nella manipolazione delle carcasse deve indossare sempre la mascherina FFp2 o FFp3 e guanti monouso, riporre le carcasse degli animali deceduti in un doppio sacco di plastica resistente ben chiuso, in attesa che venga conferito all’Istituto zooprofilattico, eliminare i guanti o altro materiale monouso in appositi sacchi di plastica, evitare di compiere operazioni che facilitino il contatto di materiale fecale con le mucose, per esempio strofinarsi gli occhi con le mani sporche, lavarsi accuratamente le mani dopo aver manipolato gli animali, igienizzare ad alta temperatura indumenti e attrezzature utilizzate e non introdurre in casa o in aree frequentate da specie sensibili indumenti, scarpe, stivali o attrezzature utilizzate durante la manipolazione di uccelli selvatici morti o con segni di malattia, prima di averli lavati.  

L’uomo, del resto, può infettarsi con il virus dell’influenza aviaria a seguito di contatti diretti con animali infetti (vivi o morti) e/o loro escrezioni (in particolare con le feci e gli oggetti o superfici contaminate da queste). Non c’è alcun rischio di trasmissione attraverso il consumo di carni avicole o uova. 

Preoccupanti, in questa direzione, le notizie che arrivano da Cina e Cambogia. Sono stati accertati, infatti, due nuovi casi di contagio, nell’area di Jiangsu e Guangdong, che si sono aggiunti ai due casi di positività al virus H5N1 registrati in Cambogia la scorsa settimana, di cui uno risultato fatale a una bambina di 11 anni. Proprio per questo l’epidemiologo dell’Oms Richard Peabody ha lanciato un’allerta da tenere in considerazione. «Temiamo che il virus acquisisca la capacità di diffondersi da persona a persona e che possa provocare una nuova pandemia, ha sottolineato al quotidiano in lingua spagnola El Pais. «La comunità scientifica sta studiando la sequenza genetica di questi virus al fine di monitorarli e sviluppare anche dei vaccini, se necessario. Dobbiamo prepararci».

(Foto d’apertura: IPA)

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