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Vaiolo delle scimmie, cani e gatti non portano il virus

Il pericolo maggiore potremmo essere noi. Ecco perché le autorità sanitarie consigliano ai pazienti positivi di non entrare in contatto con i propri animali domestici. Specialmente se roditori.

di Alessio Pagani

Non ci sono evidenze, riportata nella letteratura scientifica, che cani e gatti possano essere vettori di infezione per il vaiolo delle scimmie. I primi allarmi, ingiustificati, sono legati infatti a una serie di errori di interpretazione. L’equivoco, infatti, sembra essere nato da un errore di traduzione. Legato a un focolaio del 2003. Allora, negli Stati Uniti, era emersa un’epidemia tra alcuni roditori selvatici importati dall’Africa. Animali che, a loro volta, ne avevano infettati altri all’interno di un negozio di animali. Tra loro, c’erano alcuni “cani della prateria”, poi responsabili della trasmissione del virus ai loro proprietari. A sgombrare il campo dai dubbi ci ha pensato, ufficialmente, la Federazione nazionale ordini veterinari italiani. Con un documento, fatto preparare a Vito Martella, professore di malattie infettive degli animali, facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Bari. «Tutte le persone infette dal monkeypox, nel focolaio del 2003, si ammalarono dopo aver avuto contatti con cani della prateria infetti», chiarisce Martella. «Ma pur chiamandosi cane, questo animale, non ha nulla a che vedere con i nostri quattro zampe. Il nome», aggiunge il professore, «deriva dal verso simile ad un latrato che esso emette per avvertire i suoi simili di qualche pericolo, anche se in realtà si tratta di un roditore della famiglia degli scoiattoli (Sciuridi) che vive nelle grandi praterie americane. Quindi, l’affermazione che il monkeypox possa essere trasmesso dai cani è assolutamente sbagliata e non ci sono evidenze in letteratura che i cani possano avere un ruolo nell’epidemiologia». Lo hanno, invece, i roditori. Anche perché si tratta proprio di una malattia diffusa tra questi animali che, però, essendo stata isolata in un laboratorio su delle scimmie, ha preso questo nome. Se cani e gatti non sono considerati, al momento, un vettore non è però escluso che un uomo contagiato, vivendo a stretto contatto con loro, possa infettarli. La circolare del ministero della Salute del 25 maggio, infatti, parla della possibilità di trasmissione dall’uomo agli animali da compagnia, definendola come «teoricamente possibile». Le agenzie sanitarie quindi raccomandano di isolare gli animali domestici dalle persone infette dal vaiolo delle scimmie e di lavarsi le mani tra un contatto e l’altro. «Attualmente, si conosce poco sull’idoneità delle specie animali europee peri-domestiche (mammiferi) a fungere da ospite per il virus del vaiolo delle scimmie. Tuttavia», si legge nel documento diffuso dal Ministero della Sanità, «si sospetta che i roditori, e in particolare le specie della famiglia degli Sciuridae (come gli scoiattoli), siano ospiti idonei, più dell’uomo, e la trasmissione dall’uomo agli animali (da compagnia) è quindi teoricamente possibile». Anche per questo la Gran Bretagna ha iniziato a elaborare le linee guida nel tentativo di limitare il rischio che i pazienti con vaiolo delle scimmie infettino i loro gatti, cani e conigli. «Questo rischio è probabilmente basso, ma non va preso alla leggera», ha sottolineato alla stampa inglese Justine Shotton, presidente della British Veterinary Association. «Sarebbe comunque una decisione sensata mantenere le distanze da un animale domestico durante la quarantena. Personalmente, se mi fosse stato diagnosticato il vaiolo delle scimmie, farei tutto il possibile per limitare i contatti. Al momento non ci sono prove di trasmissione tra esseri umani e cani e gatti, ma sappiamo che conigli e roditori sono sensibili». Ecco perché, tra le precauzioni più comune da adottare, c’è quella di tenere alla larga i propri animali domestici, come gatti e cani, dalle feci di roditori. E il consiglio è quello di tenerli regolarmente puliti.

(Foto: IPA)

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