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Rondini da proteggere, i comuni si mobilitano

Tra gli esempi più virtuosi Belluno, ormai a tutti gli effetti “Città delle rondini”. Qui i nidi sono i benvenuti e per contenere i problemi del guano vengono installati ombrelli speciali e tappetini.

di Alessio Pagani

Tornano ogni anno nei loro nidi. Perché quando possono scelgono gli stessi, stagione dopo stagione. Se non ci riescono lasciano un vuoto. Per questo le rondini vanno protette, partendo proprio dai loro rifugi, che devono poter ritrovare quando in primavera e in estate arrivano nelle nostre città dopo un lungo viaggio dall’Africa, compiuto proprio per nidificare. Anche perché questi uccelli sono sempre meno. Colpa della diffusione dell’agricoltura intensiva e di conseguenza dell’uso di pesticidi, sostanze che riducono il numero di insetti, il cibo preferito dalle rondini. Ecco perché ogni nido, tra fessure di antichi edifici o nei sottotetti delle abitazioni, è prezioso. Danneggiarli è persino proibito dalla legge, ma non sempre vengono rispettati a sufficienza. Ci sono però realtà dove questa tutela funziona alla perfezione. Come Belluno, ormai da alcuni anni “Città delle rondini”. Nei giorni scorsi, infatti, sono stati installati nuovi tappetini e nuovi ombrelli sotto i nidi del centro storico della città veneta: l’obiettivo è proteggere i passanti dagli escrementi, riparando ulteriormente i luoghi di nidificazione di questi migratori. Come accade da qualche anno, l’amministrazione collabora con la Provincia, Riserve alpine di caccia, Confcommercio e volontari per la salvaguardia della biodiversità cittadina. Belluno è uno dei pochi centri rimasti in Italia in cui nidificano stabilmente rondini, rondoni e balestrucci. Quest’anno il progetto “Belluno città delle rondini” si avvale anche di una nuova partnership, quella del Parco nazionale Dolomiti bellunesi, che ha fornito gli ombrelli anti guano brandizzati con i simboli dell’area protetta. E che il piano funziona è dimostrato dai dati: con ben 167 siti di nidificazione (contro i 154 del 2021 e i 140 del 2020).

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Un post condiviso da Fabio Copiatti (@fabiocopiatti)

(Foto: IPA)

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