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Montagne troppo affollate. Gli animali diventano notturni  

Uno studio del Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze e del Musa, il Museo delle Scienze di Trento, rivela gli effetti delle escursioni negli ambienti montani sulla fauna selvatica.

di Alessio Pagani

Gli animali selvatici che vivono in montagna stanno diventando sempre più notturni. Anche quelli che non lo erano affatto e che secondo natura non dovrebbero esserlo. Tutta colpa del turismo e dell’invasione dell’uomo in questi ambienti un tempo decisamente più tranquilli. Negli ultimi decenni il territorio alpino, infatti, è molto cambiato: l’abbandono delle pratiche di agricoltura e pastorizia, in molte aree, ha consentito una rigenerazione naturale delle foreste e molte specie di mammiferi hanno ritrovato nel bosco il loro habitat naturale. Al contempo però, la frequentazione turistica di queste aree è aumentata, come in gran parte dei Paesi ad alto reddito del mondo, creando un potenziale disturbo per gli animali selvatici. Tuttavia, mentre la domanda di turismo naturalistico continua ad aumentare a livello globale, cresce anche la preoccupazione per i possibili effetti collaterali sulla biodiversità e in particolare sulla fauna selvatica. Come reagiscono gli animali selvatici a questa crescente presenza di esseri umani nei loro habitat? Ci sono effetti negativi nel lungo periodo? La ricerca del Muse, il Museo delle Scienze di Trento e del Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze, pubblicata sulla prestigiosa rivista di sostenibilità ambientale Ambio, fa luce su questo tema.  

Per farlo i ricercatori hanno utilizzato 60 fototrappole in modo sistematico, ogni estate, a partire dal 2015 in un’area delle Dolomiti del Trentino occidentale altamente frequentata da escursionisti. «I risultati delle analisi», spiega Marco Salvatori, dottorando dell’Università di Firenze in collaborazione con il Muse e primo autore dello studio, «ci mostrano che delle oltre 500mila foto raccolte in 7 anni di ricerca il 70% ritrae persone. Ma non solo. Gli umani sono 7 volte superiori in numero a quello della specie selvatica più comune nell’area, la volpe, e addirittura 70 volte superiore a quello dell’orso, la specie che è risultata più raramente fotografata».  

Tutte le 8 specie considerate (orso, cervo, camoscio, capriolo, tasso, volpe, lepre e faina) hanno poi rivelato una chiara risposta comportamentale al disturbo provocato dal passaggio delle persone: nelle zone più frequentate diventano più notturne per diminuire la probabilità di incontrare persone e concentrano le loro attività in assenza di luce anche quando si trovano più vicino ai centri abitati. Non solo, le specie di maggiori dimensioni, come l’orso, il cervo e il camoscio, esibiscono anche una chiara tendenza a evitare di frequentare le zone in cui il passaggio umano è più intenso.   «La tendenza a diventare notturni», conclude Francesco Rovero, docente di Ecologia dell’Università di Firenze e coordinatore dello studio, «è una risposta comportamentale comune a molti mammiferi esposti alla presenza di grandi numeri di persone. Se, da parte degli animali, l’impegno a evitare il contatto con gli esseri umani è notevole, anche noi però dovremmo adottare alcune misure per limitare l’accesso ad alcune aree dei parchi naturali nei periodi dell’anno più delicati per la fauna. Strategia già ampliamente applicata in molte parti del mondo».

(Foto d’apertura: https://www.unifimagazine.it/)

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