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La giornata mondiale delle tartarughe marine, esseri speciali da proteggere

Abitano gli oceani da 225 milioni di anni senza aver cambiato il loro aspetto fisico ma riscaldamento globale, inquinamento e cementificazione delle spiagge ne mettono a rischio il futuro. Tutte le sette specie sono in pericolo.

di Alessio Pagani

Maestose, ancestrali e ancora per certi versi misteriose. Sono le tartarughe marine, alla cui sopravvivenza e tutela è dedicata, a livello mondiale, questa giornata. Una data, quella del 16 giugno, scelta per ricordare anche la nascita di Archie Carr, professore di Zoologia all’Università della Florida, che dedicò gran parte della sua vita alla conoscenza e alla conservazione di questi animali. È stato lui, infatti, il fondatore e direttore scientifico del “Sea Turtle Conservancy”, la più grande organizzazione che si occupa di ricerca, divulgazione e conservazione di queste specie: i rettili più antichi viventi oggi. Come ricorda il WWF, infatti, «abitano i mari del mondo da 225 milioni di anni senza aver cambiato il loro aspetto fisico». E su di loro dobbiamo imparare ancora molto. A partire dal sistema che usano per orientarsi nei loro viaggi attraverso gli oceani lunghi migliaia di chilometri. Fino a 200 anni fa popolavano le acque a milioni. Oggi abitano ancora i mari tropicali e subtropicali del pianeta, ma il loro numero ha subito un drastico calo nel corso degli ultimi 100 anni. Sette le specie ancora presenti sulla Terra: la tartaruga liuto, la Caretta caretta, la tartaruga verde, quella embricata, la olivastra, la tartaruga a dorso piatto e quella di Kemp.

Tra loro la liuto, unica della sua famiglia, è la più grande. Il suo carapace può raggiungere i due metri di lunghezza e un peso che si aggira intorno ai 500 chilogrammi. La tartaruga di Kemp con i suoi 70 centimetri di lunghezza e 50 chilogrammi di peso, è invece la più piccola. La Caretta caretta è quella più diffusa nel Mediterraneo, con diverse aree di nidificazione anche sulla costa italiana. «Questi animali ancestrali trascorrono tutta la vita nel mare, vivendo in solitaria e riunendosi solo ai fini dell’accoppiamento», raccontano dal WWF. «Ogni due o tre anni, le femmine si recano sulla terraferma per deporre le uova. Alcune attraversano interi oceani per farlo e la meta è sempre la stessa: la spiaggia sulla quale loro stesse sono nate».

Lì, in una buca nella sabbia, depongono dalle 50 alle 200 uova a seconda della specie, spesso fino a tre volte per singola nidificazione. Se nessun uomo o animale saccheggia il nido, dopo circa due mesi le piccole tartarughe rompono il guscio e cominciano il faticoso tragitto verso l’acqua, durante il quale sono facili prede per uccelli e granchi. Una volta raggiunto il mare, queste piccole nuotatrici devono invece affrontare i pesci predatori. «Così, in media», sottolineano dal WWF, «soltanto un uovo su 1000 diventa un esemplare adulto». E se a questo scenario aggiungiamo il numero ridotto di tartarughe che riescono a nidificare a causa della cementificazione delle spiagge, del cambiamento climatico e dell’inquinamento marino, ecco che la sopravvivenza di questi animali è decisamente a rischio. Al punto che oggi ben sei specie su sette figurano nella Lista rossa IUCN delle specie minacciate e la settima è considerata vulnerabile dall’Australia, suo habitat d’elezione.

La situazione nel Mediterraneo

Il nostro mare ospita tre specie di tartarughe marine: la Caretta caretta, la tartaruga verde e, sebbene più rara, la tartaruga liuto. Queste nidificano soprattutto sulle coste orientali, mentre la Caretta caretta depone regolarmente le sue uova anche lungo le coste italiane (soprattutto nelle regioni meridionali). Negli ultimi cinque anni (2016-2021) nelle nostre acque è stato registrato un aumento nel numero dei nidi che, tuttavia, rappresentano solo una piccola parte dei circa 8mila dell’intero bacino mediterraneo. I mari intorno all’Italia, comunque, rivestono una grande importanza: quello Adriatico, per esempio, è un’importante area di alimentazione per questi animali.

I nemici delle tartarughe, però, non mancano nemmeno alle nostre latitudini: sono la pesca e la plastica presente nelle acque costiere. Oltre 150mila tartarughe ogni anno vengono catturate accidentalmente da ami da pesca, lenze e reti e 40mila di loro muoiono. Solo in Italia, ogni anno 25mila di questi rettili vengono catturati dalle reti a strascico e, secondo diverse analisi, ben l’80% delle Caretta caretta ha ingerito plastica. Cruciale per la loro tutela diventa così il ruolo dei centri di recupero, nati con lo scopo di curare e riabilitare gli animali soccorsi. In queste strutture le tartarughe ricevono le cure veterinarie di cui hanno bisogno e una volta fuori pericolo, se possibile, vengono riconsegnate al mare. I centri di recupero del WWF si trovano a Policoro, Molfetta, Torre Guaceto e Capo Rizzuto e trattano circa 500 tartarughe l’anno, con una buona percentuale di individui curati e poi rilasciati.

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