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In Siberia la volpe è domestica

Il racconto “Come addomesticare una volpe”, scritto da Lee Alan Dugatkin e Ljudmila Trut, appena pubblicato in Italia, riaccende i riflettori sull’esperimento iniziato nel 1959 a Novosibirsk e tutt’ora in corso.

di Alessio Pagani

Il racconto “Come addomesticare una volpe”, scritto da Lee Alan Dugatkin e Ljudmila Trut, appena pubblicato in Italia, riaccende i riflettori sull’esperimento iniziato nel 1959 a Novosibirsk e tutt’ora in corso.

Code più corte, orecchie pendenti e pellicce pezzate con inserti bianchi. È questo l’identikit della forma addomesticata della volpe, risultato di un audace esperimento genetico compiuto in Siberia nella seconda metà del Novecento e tutt’ora in corso. Una storia che ritorna d’attualità grazie al libro, recentemente pubblicato da Adelphi, “Come addomesticare una volpe”, scritto da Lee Alan Dugatkin e Ljudmila Trut. La ricerca, il cui obiettivo era proprio quello di dimostrare come fosse possibile addomesticare un animale selvatico, è stata avviata dall’accademico Dmitrij Belyayev nel 1959. Negli Anni 70, a lui si aggiunse proprio Trut, allora studentessa di biologia dell’Università statale di Mosca e ora scienziata di fama mondiale. All’epoca fu attratta dalla possibilità di partecipare al progetto più ambizioso mai tentato nel campo dell’evoluzione e del comportamento animale: usare la volpe per replicare il percorso evoluzionistico che aveva portato dal lupo al cane. In pratica si pensava di replicare, in un lasso di tempo breve, quanto accaduto in 15mila anni. Il tutto senza alcuna manipolazione genetica, ma facendo riprodurre selettivamente, generazione dopo generazione, solo gli esemplari meno aggressivi e più socievoli nei confronti dell’uomo. Oggi, 63 anni dopo, le volpi domestiche esistono: si trovano all’Istituto di citologia e genetica di Novosibirsk, in Siberia. Dall’iniziale gruppo di volpi in gabbia, allevate per le loro pellicce in Estonia e usate come primi esemplari della ricerca, si è giunti ai giorni nostri utilizzando solo la docilità come criterio di selezione. Abituando gradualmente, cucciolata dopo cucciolata, queste volpi al contatto umano. Fino a notare, appena quattro generazioni dopo, le prime differenze sostanziali, con gli animali che iniziavano a cercare la compagnia dell’uomo. Le volpi, poi, avevano iniziato a scodinzolare: un comportamento mai osservato in un animale diverso dal cane. 

Alla settima generazione, molte leccavano le mani degli sperimentatori e li salutavano con sguardi e guaiti. Alla decima, in alcuni individui comparvero le orecchie flosce e la stella bianca sulla fronte perché i cambiamenti che poi sono divenuti anche fisici: le loro gambe si sono accorciate, le teste sono diventate più grandi e alcune ghiandole sono diventate più attive, con un maggior livello di serotonina nel cervello, che riduce i comportamenti aggressivi. La missione era riuscita, ma poiché lo studio non era concluso, il mondo ne ha scoperto l’esistenza solo nel 1999 quando, dopo la scomparsa di Belyayev nel 1985, il centro rischiava ormai di chiudere. Esauriti i fondi Ljudmila, scrisse un appello sulla rivista “American Scientist”.  Da allora hanno iniziato ad arrivare donazioni e riconoscimenti: le volpi di Beljaev sono state riconosciute dalla comunità internazionale come la prima e unica specie di volpe domestica. «Un’avventura scientifica tuttora in corso», concludono da Adelphi, «i cui risultati conducono a riflessioni appassionanti sulla nostra stessa evoluzione, e insieme un’avventura umana fuori dal comune, magnificamente raccontata nel libro».

(Foto: IPA)

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