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Emergenza animali: in 50 anni è scomparso il 69% della fauna selvatica

Secondo l’allarme lanciato dal WWF l’attività umana «ha causato un calo devastante delle popolazioni di vertebrati». A soffrire di più sono stati gli “abitanti” degli oceani, mentre tra le specie a maggiore rischio spiccano i gorilla.

di Alessio Pagani

  Gorilla, linci, ma anche delfini d’acqua dolce, leoni marini e bombi. È un allarme generale. Che riguarda mammiferi, uccelli, anfibi, pesci e insetti. Nell’ultimo mezzo secolo la popolazione di animali selvatici si è ridotta in media del 69% in tutto il mondo a causa dell’attività umana, con picchi addirittura del 94% in America Latina e Caraibi. Lo rivela il “Living Planet Report 2022” del WWF che, sulla base dei drammatici dati raccolti, lancia un appello ai grandi del Pianeta: «Serve un accordo per invertire la perdita di biodiversità e contrastare il cambiamento climatico».

Il Report monitora di anno in anno quasi 32mila popolazioni di oltre 5mila specie di vertebrati. Tra quelle che risultano più danneggiate ci sono i delfini rosa di fiume dell’Amazzonia, i cui esemplari sono calati del 65% tra il 1994 e il 2016 nella riserva di sviluppo sostenibile di Mamirauá, in Brasile. Non stanno meglio i gorilla di pianura orientale, il cui numero ha subito un declino stimato dell’80% nel Parco nazionale di Kahuzi-Biega del Congo, tra il 1994 e il 2019. Lo stesso vale per i cuccioli di leone marino dell’Australia meridionale e occidentale, ridottisi di due terzi tra il 1977 e il 2019.

Un elenco impressionante quello delle specie che rischiamo di perdere per sempre, che non tralascia alcun continente: anche presenze a noi familiari sono fortemente a rischio, come le api o ancor di più il bombo degli orti (Bombus hortorum). «Tutto questo è imputabile non solo al cambiamento climatico», si legge nel documento,  «ma anche al danno causato da pesticidi ed erbicidi». I più colpiti di tutti, però, sembrano essere gli ambienti acquatici, dolci e salati. «Le specie di questi habitat sono diminuite più di quelle che si trovano in qualsiasi altro luogo, con un calo della popolazione dell’83% dal 1970». E la causa è anche questa volta l’uomo e il suo prelievo incontrollato. «I sistemi alimentari odierni sono responsabili di oltre l’80% della deforestazione sulla terraferma e generano il crollo degli stock ittici», ha sottolineato il direttore generale dell’organizzazione, Marco Lambertini.

Quello che emerge è dunque una drammatica prospettiva dello stato di salute della natura. Non più prorogabile, quindi, l’appello dell’organizzazione ad aumentare gli sforzi di conservazione e ripristino, rendere sostenibili la produzione e il consumo di cibo, promuovere la decarbonizzazione rapida e profonda di tutti i settori. «La perdita della natura», concludono dal WWF, «non è solo una questione morale,  ma di sicurezza anche per l’umanità».  

(Foto d’apertura: IPA)

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